MELVILLE, LA PIPA, MOBY DICK, PAVESE

5 settembre 2025

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In quel sublime mare magnum che è Moby Dick trova posto anche la pipa. La cosa in sé e per sé non sorprende molto. I personaggi di Moby Dick, si sa, sono marinai, gente abituata ad essere amica della pipa.

Ciò che colpisce, invece, è la maniera del tutto originale in cui Melville tratta l’oggetto in questione. Della pipa si sono occupati, e bene, poeti come Baudelaire, Corbière, Mallarmé. Melville ha fatto di meglio. Egli non parla della pipa ma, soffermandosi su alcuni personaggi che la fumano ne fa una vera e propria protagonista.

In ordine di apparizione, il primo fumatore di pipa che si incontra in Moby Dick è Quiqueg, gigantesco ramponiere oceanico, cacciatore e venditore di teste, super tatuato, precedenti cannibaleschi, compagno di stanza nonché di letto di Ismaele. Entrambi si trovano a New Bedford per ottenere l’ingaggio su qualche baleniera. L’incontro tra i due, destinati comunque a diventare amici per la pelle, non è dei più entusiasmanti. Ismaele è spaventato dal compagno di stanza non solo per il suo aspetto fisico, quanto per una serie di funzioni che Quiqueg compie prima di coricarsi.

Ed ecco comparire la pipa. E che pipa. Il selvaggio ad un certo punto solleva un’accetta da tavolo, ne esamina la testa “e poi, accostandola alla fiamma, con la bocca sul manico”, comincia a tirarne “grandi nuvole di tabacco”. Armato – è proprio il caso di dire – della pipa, Quiqueg salta nel letto e Ismaele, terrorizzato, strilla.. Accorre allora il bonario proprietario della locanda e il giovane: - “ Padrone, ditegli di lasciar stare quella sua accetta o pipa, o comunque la chiami; ditegli insomma di smettere di fumare. Non mi piace avere nel letto uno che fuma. E’ pericoloso. E poi non sono assicurato… “-. 

Ben presto però la terribile pipa-accetta si trasforma in una sorta di calumet della pace. “Presto proposi una fumata in società ed egli, estraendo la borsa e l’accetta, mi offrì pacatamente una boccata. E allora sedemmo scambiando boccate di quella sua fierissima pipa e continuando regolarmente a passarcela… Se anche era rimasto nel petto del pagano qualche ghiaccio d’indifferenza al mio riguardo, questa fumata piacevole e congeniale lo disciolse senz’altro e ci lasciò amiconi”.

Stubb, secondo ufficiale del Pequod, la baleniera comandata da Achab, è un altro amico della pipa. “La cosa che forse tra l’altro faceva di Stubb un uomo così facile e senza paure, che così allegramente se ne faticava sotto il peso dell’esistenza in un mondo pieno di merciaiuoli cupi, tutti curvati a terra dai fardelli, la cosa che lo aiutava a portare in giro quel suo buon umore quasi empio, doveva essere la sua pipa. Poiché, come il naso, la sua corta pipetta nera era una delle fattezze abituali del suo volto. Vi sareste quasi aspettato che lui scendesse dalla cuccetta senza naso piuttosto che senza pipa. Teneva là un’intera fila di pipe cariche, infilate in una rastrelliera, a stretta portata di mano, e ogni volta che andava a letto le fumava tutte successivamente, accendendole l’una dall’altra fino alla fine, e poi ricaricandole perché fossero di nuovo pronte. Poiché Stubb, quando si vestiva, invece di cacciare prima di tutto le gambe nei calzoni, si cacciava in bocca la pipa”. “… E come al tempo del colera certuni vanno in giro con un fazzoletto canforato sulla bocca, così, allo stesso modo, contro tutte le tribolazioni mortali, il fumo di tabacco di Stubb poteva aver operato come una sorta di disinfettante”.

E Stubb non rinuncia alla pipa neppure quando, in equilibrio precario sulla lancia, è impegnato nella caccia alla balena. C’è un capitolo di Moby Dick, il sessantunesimo, in cui Melville, con una tecnica narrativa che sembra anticipare momenti di grande cinema, opera una specie di montaggio parallelo tra le nervose boccate di fumo della pipa di Stubb e gli sbuffi, sempre più affannosi, che fuoriescono dallo sfiatatoio di una balena braccata.

Ed ecco il ‘LA’: “Ma così pigramente fluttuando nel trogolo del mare e ogni tanto sfiatando tranquilla il suo spruzzo di vapori, la balena somigliava a un solenne borghese che si fumi la pipa in un pomeriggio caldo”.

E subito dopo: “Laggiù coda! – fu il grido – e subito Stubb tirò fuori un fiammifero e accese la pipa, poiché s’apriva un momento di tregua”.

Ma la tregua dura poco. Ha inizio la caccia… “Abbandonammo le pagaie e mettemmo rumorosamente in azione i remi. E sempre tirando alla pipa, Stubb incuorava con grida l’equipaggio all’assalto”. Intanto, l’imbarcazione s’avvicina rapidamente al gigante del mare… “… Stubb, conservando il suo posto di testa, incoraggiava sempre i suoi all’assalto, soffiando boccate di fumo”. Il rampone vola, la balena è colpita. Ora la caccia entra nel suo momento più drammatico… “ Il fiotto rosso grondava ora dai fianchi della balena, come ruscelli giù da un colle”…”E per tutto il tempo, gettito su gettito di fumo bianco veniva cacciato agonizzante dallo sfiatatoio, e sbuffo su sbuffo furiosamente dalla bocca dell’uomo di testa”.

Affiancata dall’imbarcazione, la balena viene raggiunta dalla lancia aguzza manovrata con mano esperta da Stubb. Davvero ora la caccia è finita… “E’ morta , signor Stubb” - disse Deggu - . “ Sì, tutte e due le pipe sono spente! E traendo la sua di bocca, Stubb sparse le ceneri morte sul mare…”.

La pipa la fuma anche Achab, il capitano del Pequod, l’uomo dalla gamba d’avorio, “alto che sembra un airone”, il demoniaco, la personificazione della “pazzia impazzita”, il monomaniaco, il nemico giurato della Balena Bianca, colui che è “solo tra i milioni che popolano la terra”, colui “che non ha per vicini né gli dei né gli uomini”, il “luogotenente dei Fati”.

 Difficili i rapporti di Achab col mondo che lo circonda, compresa la modesta pipa. “Achab… come da un pezzo era solito, chiamato un marinaio della guardia lo mandò sotto coperta a prendergli lo sgabello d’avorio e insieme la pipa. Accendendo la pipa alla lampada della chiesuola e disponendo lo sgabello a sopravvento sul ponte, si sedette a fumare… Alcuni istanti passarono, nei quali il denso vapore gli uscì di bocca in soffi rapidi e continui, che gli ritornavano col vento sulla faccia. - Ebbene – disse tra sé alla fine, ritirando la cannuccia – questo fumare non mi calma più. Pipa mia, devo stare ben male, se il tuo incanto è scomparso! Sono stato qui faticando inconsciamente, non divertendomi: sì, e fumando tutto il tempo contro vento, da ignorante, contro vento e con sbuffi tanto nervosi, come se, al modo della balena morente, le mie ultime sfiatate fossero le più forti e le più dolorose. Che cosa ho di comune con questa pipa? Questa che è fatta per la serenità, per mandare in alto dolci vapori bianchi tra dolci capelli bianchi, non tra laceri ciuffi grigio ferro come i miei? Non fumerò più… - E gettò dentro il mare la pipa ancora accesa. La brace sibilò tra le onde, e nell’attimo stesso la nave scivolò via dalla bolla che la pipa fece affondando.”

L’ultima volta che si accenna alla pipa in Moby Dick è nel capitolo novantanovesimo. Flask, terzo ufficiale del Pequod, un sempliciotto per il quale una balena è una specie di topo d’acqua ingigantito, facendo un po’ di calcoli sul valore del doblone d’oro fatto inchiodare da Achab sull’albero di maestra e destinato a chi scorgerà per primo la Balena Bianca, arriva alla conclusione che il doblone “vale sedici dollari, è vero, e a due cent il sigaro, sono novecento e sessanta sigari. Non mi piace fumare pipe sporche, come fa Stubb, ma sigari sì…”.

Nei restanti trentasei capitoli (epilogo compreso) la pipa in Moby Dick sparisce. La ragione è abbastanza semplice: la pipa difficilmente armonizza con il dramma.

P.S. Di Moby Dick esistono ormai in Italia parecchie belle traduzioni. Ancora una volta però s’è fatto ricorso a quella “classica” di Cesare Pavese. Per due ordini di motivi. Innanzitutto per un senso di gratitudine verso uno scrittore che, a suo tempo, ci ha permesso di scoprire un così grande libro. E poi per una sorta di coerenza: Pavese, al pari di Achab, Stubb, Quiqueg e quasi sicuramente dello stesso Melville, fumava la pipa!


Smoking numero 4 anno diciannovesimo, 1993. 


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